Comprensione reciproca

Comprensione reciproca

Chi riuscirà a creare climi aziendali favorevoli alla sinergia, vedrà prosperare se stesso e chi sta con esso! Non ho rubato questa massima da alcuna persona, mi è venuta fuori all’improvviso. Nelle ultime settimane ho avuto un bel daffare in termini lavorativi, incontrando svariate decine di persone in altrettanti diversi ambienti di lavoro. Chi viene a trovarci, almeno tutti così ci raccontano, pensano quasi che noi non lavoriamo. Caffè, pappate di gruppo, chiacchiere interessanti o meno, riunioni, scambi di idee, richieste di sforzi collaborativi, piccole gratifiche … siamo fieri di aver creato questo ambiente e di viverlo. Certo, qualche piccolo dissapore di tanto in tanto nasce: una risata, un abbraccio e via … tutto dimenticato … e non si fa mai finta di passarci soltanto sopra! Ho un gruppo di persone a cui posso chiedere qualcosa di speciale, penso di essere fortunato anche in questo ambito della vita.

Beh, non ci si arriva facilmente a questo risultato. Abbiamo lavorato fortemente e per molto tempo sul carattere, siamo diventati un po’ tutti maggiormente comprensivi e tolleranti! Forse, pensandoci un attimo, il problema della gente in genere è che ha una prospettiva ed una percezione del lavoro molto distorta. Non voglio accusare nessuno, ma quale persona testimone che incontra sia i vertici che le basi di un’impresa … questo è ciò che riscontro. Un riscontro concreto, materiale, oggettivo … niente illusioni, nessuna idea o pensiero costruito in un puro e frivolo momento di ozio. Intanto così va male e le prospettive non sono positive. Le organizzazioni subiscono perdite enormi: non che tutte vadano in perdita (ci mancherebbe), ma tante di queste perde il maggior profitto di realizzo presumibile. Presumibile, perché c’è il potenziale … ma lo si utilizza, se ne fa uso, in modo assolutamente al di sotto del minimo possibile.

Vero anche che possiamo accontentarci. Al riguardo, sapete cosa accade quando ci si accontenta? Che uno perde qualcosina, e gli altri perdono anch’essi qualcosina. E chi perde, credo, non è mai felice per davvero … anche se questa perdita potrebbe starci … anche se in fondo ti senti fortunato o fiero perché non hai perso tutto. A me così non va e lo dico con determinata franchezza tanto, lo spero e me lo auguro, che almeno si inizi a pensare ad un mondo sinergico … un mondo in cui, come le api, tutti fanno quel piccolo compito estremamente importante per portare avanti insieme il proprio alveare. Eppure, fidatevi, ci vuole poco almeno per iniziare … anche se questo poco richiede un forte dose di impegno, visto che dobbiamo dapprima smontare i nostri paradigmi mentali (che sviluppano gli odierni pensieri) … per poi cambiare le nostre oramai radicate abitudini comportamentali. Ma ripeto, ne sono convinto in modo pieno, sarà il futuro! La   sostanziale differenza fra chi ottiene ciò che desidera e chi si ritroverà in mano un solo pugno di mosche.

Bisogna, in primissima battuta, capire che noi siamo persone. Che abbiamo potenzialità e che abbiamo difetti, che possiamo far cose egregie, che possiamo compierne altre errate. Quando io commetto uno sbaglio, mi perdono, dicendomi e ripromettendomi di evitare una situazione simile. Se c’è una sola persona al mondo pronta a salvarmi, quella sono io stesso! Quando, invece, sono gli altri che vanno in errore, il perdono viene meno o si perdona l’altro senza cuore, tanto per evitare rotture di rapporto con eventuali conseguenze disciplinari, contrattuali, legali. D’altro canto conosco aziende che sviluppano e mantengono climi temperati proprio per queste motivazioni anti-conflittuali. Un dispiacevole misto di caldo e freddo. Una scelta, per l’appunto, che dipende più dall’evitare posizioni futuristiche di contrasto, anziché creare condizioni ambientali di maggior piacere e favore.

E questo clima, di pura freddezza-caldezza, è percepibile all’istante … direi almeno venti metri prima di varcare l’ingresso lavorativo. Ti parla un dirigente e ti racconta la sua verità, in modo silenzioso al fine di evitare spifferi e successivi scenari bellici. Ti parla un lavoratore e ti racconta invece la sua verità. E mentre lo fa, volge lo sguardo nei paraggi per assicurarsi l’assenza di chi sta sopra di esso e che può giudicarlo. L’apparenza non va bene nemmeno in un audit … perchè mi chiedo quanto sia effettivamente utile un audit se artefatto, se fondato su un teatrino temporaneo. Dai facciamo bella figura con quelli della qualità! … così purtroppo funziona in molte realtà.

Mi spiace, ma fin quando non ci vediamo come persone, con tutte le nostre esperienze, idee, pensieri … andremmo dritti verso il muro. Decisamente quindi, bisogna comunicare, parlare ed ascoltare profondamente, fare gruppo, comunione … trasformare l’azienda in comunità. E’ necessario, a questo punto, armarsi di ideali umani superiori. Fra questi la compassione, ovvero un atteggiamento di massima comprensione verso le persone. Alcuni dipendenti stanno male nelle loro vite. A questo, poi, si aggiunge altro malessere di natura lavorativa. In modo cristallino rispondetemi a questa domanda:<Al posto loro, sareste raggianti come dei leoni, vero?>. No, vorresti che qualcuno ti ascoltasse, per poi comprenderti e per capire che con la testa non ci sei proprio e che purtroppo non puoi darmi quanto normalmente dovresti, anche se vorresti veramente farlo!

Non è che noi tutti, nelle difficoltà, vorremmo avere al fianco persone di questo calibro, che ci sostengano e che ci aiutino? Personalmente, sempre. Forse, e non so bene per quale ragione, abbiamo timore di mostrarci intimoriti … di mostrarci non tanto forti come vorremmo che gli altri pensassero di noi! Caspiterina, poi diciamo di essere umili: sinceramente pensavo a questo termine dandogli un significato diverso! A chi questo ruolo di comprensione globale delle persone? Anche per questa domanda bisogna evidenziare dogmi non più validi per l’era che stiamo vivendo. Si pensava, infatti, che la responsabilità di comprendere fosse soltanto in capo ai vertici. Questa considerazione è esattissima, non fa una grinza … ma solo a metà! Vedila così: io capo, tu dipendente. Siamo seduti di fronte ad un tavolo. Nel bel mezzo un bicchiere d’acqua. Ti viene una sete dannata: aspetti che ti inviti a prenderne almeno un sorso. Ciò non avviene: a questo punto, per la sete che devi soddisfare, che fai?

La responsabilità è di tutti … comprendere la gente è un dovere di chiunque. Secondo te, come capo, io non potrei vivere un momento strano dove decido automaticamente di comportarmi con te in modo altezzoso e arrogante? Anche io ho bisogno di comprensione … di vedere te che ti avvicini e che ti poni al mio fianco … e che dimostri empatia circa i sentimenti che sto provando figli del cattivo momento che sto vivendo. Mi piace sentirmi dire: <Sta passando un brutto periodo, non è da lui comportarsi in questo modo!>. Non vengo più giudicato per quello che faccio, seppur in modo stupido … ma per la qualità personali che posseggo!

Per raggiungere l’isola … devi salpare l’ancora!

Francesco

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